ULTIMA CENA

Ambito/Autore : Giuseppe Alberti (Tesero, 1640-Cavalese, 1716)

Periodo storico: 17° secolo
Anno: 1694
Soggetto: Ultima cena
Luogo di conservazione: Cles, convento, refettorio
Materia e tecnica: olio su tela, cm 168 x 430

Descrizione:

La prima fonte riguardante l’opera è la Cronaca provinciale che, sotto l’anno 1693, così si pronuncia: “Il convento di Cles ordinò venisse fatto per il refettorio suo, lo stupendo Cenacolo, che lo decora. Fu fatto quest’anno nella città di Roma dal celebre pittore Alberti Giuseppe da Tesero in Fiemme (n. 1640 e morto 1716)”. L’infondatezza dell’esecuzione del grande dipinto a Roma, divulgata nel 1926 dal Molinari, è stata argomentata da Rasmo (1947) alla luce del fatto che il pittore fiemmese risiedeva ormai da anni a Cavalese. Più di un dubbio insiste anche sulla veridicità di un secondo ragguaglio secondo il quale il quadro “sarebbe scampato alle razzie napoleoniche, seppur già imballato”. Non vi è invece da dubitare che la commessa fosse stata affidata ad Alberti proprio nel 1693, giacché egli la portò a termine nel 1694, come documenta il millesimo vergato su uno degli sgabelli del convito.

Sul piano formale e compositivo l’opera dimostra una decisa divergenza con l’Ultima cena dipinta dallo stesso artista nel 1674 per la parrocchiale di Cavalese. Del tutto diverso il taglio della tela, nettamente orizzontale quella destinata al refettorio francescano e pervasa da una luce più soffusa, priva di accenti drammatici. Ciononostante il cenacolo più tardo denota un maggior impegno interpretativo nella diversificata espressione dei sentimenti degli apostoli, non già devotamente inclini alla comunione del pane, ma più prosaicamente e umanamente commensali; e accanto a chi di loro è in assorto ascolto delle parole di Cristo, vi è chi si serve da bere chinandosi verso una tinozza, chi viene distratto dal gatto, chi si è pesantemente assopito sul tavolo, mentre al centro di coloro che voltano le spalle al riguardante è la figura ingobbita di Giuda che trattiene dietro la schiena il fagotto con il denaro. Interessante anche in relazione alla valenza iconografica l’apostolo che, facendo leva col ginocchio destro sullo sgabello, si protende verso il Salvatore prendendo (o porgendo?) un baluginante calice di foggia barocca.

Dopo il restauro del 1949, fondamentale si è rivelato quello eseguito dal laboratorio Volpin nel 1980 che ha ristabilito i corretti valori pittorici, riscattando la prova del fiemmese dal severo giudizio di Rasmo. Benché risulti ormai perduta l’energica pennellata di matrice veneta tipica delle opere giovanili dell’artista, nella Cena clesiana si lascia apprezzare la preziosità dei dettagli di natura morta e la calda intonazione sentimentale di alcuni apostoli e della rarefatta figura di Cristo.

Fonti: Morizzo, I, p. 258; Morizzo, II, p. 332; SBC Chini 1981/ OA/ 00034593; ACPFM, busta 307, Inventario 1927, n. 28; busta 244, Inventario 1959, p. 655, n. 1; ACSA, Inventario 2013, p. 1.

Bibliografia: Atz 1909, p. 966; Molinari 1926, pp. 295-296; Rasmo 1941, p. 18; Id. 1947, pp. 94, 105-106; Weber 1977, p. 16; Chini 1980, p. 350; Rasmo 1979, p. 434; Id 1980, pp. 59, 61-62; Giuseppe Alberti pittore, pp. 16-17, 25-26, tav. 31; Leonardi 1982, p. 259; Rasmo 1982, p. 316; Dipinti su tela, pp. 129-1