SIMONINO TRIONFANTE

Ambito/Autore : Francesco Ligozzi (?) (Verona, 1563 ca-1630?)

Periodo storico: 16° secolo
Anno: 1590- 1600
Soggetto: Simonino trionfante
Luogo di conservazione: Trento, Fondazione Biblioteca San Bernardino
Materia e tecnica: olio su tela, cm 85 x 80
Provenienza: San Bernardino vecchio, 1694 ca.

Descrizione:

La vicenda storica dell’opera è percorribile grazie alle fonti sei e settecentesche ed è intimamente legata ad una delle più rilevanti reliquie del presunto martirio di Simone Unferdorben, noto come Simonino: il bacile nel quale gli ebrei avrebbero versato il sangue dell’innocente nel corso del sacrificio perpetrato nei giorni della Pasqua ebraica del 1475. Marco Morizzo in particolare riserva gran copia di informazioni, traendo da Tovazzi e da Benedetto Bonelli la tradizione secondo la quale il bacile sarebbe stato donato al convento di San Bernardino all’indomani del martirio, in forza dello strenuo appoggio degli Osservanti alla diffusione del culto: “sì perché ancora il P. Michele da Milano dell’Osservanza fu uno dei più strenui difensori di quel martirio, e della causa del B. Innocente Simone, e perciò si volle mostrare al convento del suo Ordine in Trento, di ciò gratitudine. Per la stessa ragione diedesi parte ancora di altre Reliquie, cioè delle vestimente e dell’ampolla di sangue del medesimo Beato al M.R.P. Giampietro Ministro provinciale della Veneta di s. Antonio, come ebbe a scrivere l’Hinderbachio a monsignor Giacopo Zeno vescovo di Padova ai 31 ottobre 1476. E quanto ai Padri di quest’Ordine fosse raccomandata la causa del B. Simone consta da quanto lo stesso vescovo Hinderbachio scrisse a Francesco Sansone Ministro Generale ai 31 ottobre 1476” (Morizzo). Il rilievo dei nomi, dal vescovo umanista Jacopo Zeno al generale francescano Francesco Seni, detto Sanson, grande committente d’arte in Lombardia, restituisce la giusta dimensione alla cinica manipolazione dei fatti da parte di Hinderbach e alla sua capacità di amplificare l’episodio attraverso una vera e propria azione di propaganda che ebbe a coinvolgere, senza possibilità di smentita, l’ambiente dell’Osservanza (si veda su questi aspetti Dal Prà 2012, pp. 18-30, 37-44; Perini 2012, pp. 87-93).

La collocazione del bacile all’interno della chiesa di San Bernardino è attentamente specificata nel 1673 da Michelangelo Mariani, infervorato apologeta del bimbo martire. Queste le sue parole: “Ad una picciola Capella, dove si rappresenta al vivo il Santo Sepolcro, vedesi il Bacile, dentro cui fu martirizzato S. Simonino, e vi appaiono ancor le macchie di Sangue. Essendo notabile, che tali macchie non mai si sono potute lavare à forza d’acqua; o che l’acqua, per pura che sia, perda al tocco di quel Sangue la sua virtù, ò che quel Sangue sia scritto à caratteri indelebili d’innocenza” (Mariani 1673, ed. 1989, p. 136). Il concettoso e involuto periodare di Mariani, tutto imperniato sulle prodigiose sembianze del maculato recipiente (metafora dell’incancellabile, eterna colpa dei giudei e dell’innocenza senza macchia di Simone), ci svela la significativa prossimità topografica con la cappella dedicata alla Passione di Cristo, lasciandoci ben intuire la nevralgica congiunzione tematica e allegorica tra il martirio di Simone e il Sacrificio del Salvatore. Il nesso è rafforzato dalla valenza eucaristica attribuibile al sangue nel calice di vetro retto da Simone, nonché dalle tracce indelebili che fanno del recipiente una sorta di sudario e quindi la somma reliquia.

Questa specifica accezione viene attribuita nel 1690 da padre Ignazio Bampi che scrive delle macchie ematiche sul “bacile d’ottone, o sii cupro, assai grande”, specificando il materiale del manufatto, in accordo con l’indicazione del Tovazzi circa il bacile “di auricalco” (Stenico). L’attenzione accordata a questa reliquia non venne meno quando nel 1694 i frati dovettero abbandonare la primigenia chiesa, come ancora narra l’erudito francescano: “Il sopra nominato bacile, si trasportò poi nella chiesa del nuovo convento di s. Bernardino e si tenne esposto alla devozione del popolo sopra l’altare della cappella di s. Antonio, chiuso in un reliquiario grande di cristallo, coperto di un quadro su cui è dipinto ad olio l’immagine di s. Simonino col detto bacile”.

È in questa sede, dunque, che viene per la prima volta specificata la presenza del dipinto, il quale è ancora descritto da Tovazzi nel 1775 tra i dipinti che decoravano la chiesa. Nel 1810, dopo la dolorosa cesura delle Soppressioni, il bacile venne trasportato dalla chiesa di San Bernardino nella cappella in San Pietro a Trento, mentre “ai Frati Francescani di Trento non si lasciò che il quadro che ne copriva il reliquiario. Su di questo quadro stanno scritti i seguenti versi: “O Spettator di vittima infantile/ Del Sangue mio qui sotto ecco il Bacile”.

Le vicissitudini della reliquia e del dipinto esplicativo sono evidentemente connesse le une alle altre benché il dipinto dati non certo al 1476 ma ad un momento successivo, circoscrivibile sulla base di indizi stilistico-figurativi, al tramonto del Cinquecento. Ne consegue che il Mariani dovette poterlo scorgere nella primigenia chiesa di San Bernardino, probabilmente all’interno di un apparato di non secondaria visibilità. E vale la pena di porre ancora mente al contesto in cui l’opera era posta per comprendere appieno le valenze iconografiche e allegoriche dell’immagine. Senza il nesso con la rappresentazione “al vivo” del sepolcro di Cristo, si faticherebbe a comprendere un aspetto cruciale e senza precedenti della raffigurazione tardo cinquecentesca di Simonino (si veda in proposito Perini 2012, pp. 123-126), la rappresentazione di una grotta che altro non è se non il sepolcro della morte terrena. Proprio come Cristo che risorge dal sepolcro sigillato, Simone, sublimato dalla gloria che lo circonfonde, si erge vittorioso sulle nubi candide oltre il buio della tomba e ostenta i simboli del martirio subito (tra i quali il capiente bacile), corrispettivo delle Arma crucis, ma soprattutto il vessillo proprio del Risorto: tutti aspetti che cooperano all’iconografia ricorrente – ma mai esibita fino a tal punto – di ‘Simonino redentore’ che nel vecchio San Bernardino doveva suscitare particolare efficacia data la contestualità con il Compianto di Cristo (si veda cat. 22).

Se questa è la cornice storica e iconografica del dipinto, l’indagine del suo stile, resa possibile dal recentissimo restauro (2014, ditta L.A.R.A.), lascia emergere gli inconfondibili tratti della pittura del tardo Cinquecento e di primo Seicento, ben comprensibili nella chiarezza espositiva dell’immagine, scevra da vezzi estetici, quantunque carica di un sovrabbondante e didascalico armamentario. Il candore delle carni opalescenti e la stringata semplicità della veste del martire, dallo sguardo privo di sostanza emotiva, sono tutti aspetti di quella “pittura senza tempo” che qualifica i decenni a cavaliere dei due secoli. Tuttavia, soprattutto dopo il recentissimo restauro, sembrano emergere umori veronesi che ci indirizzano alla stirpe dei Ligozzi. Nello specifico a Francesco Ligozzi, figlio del più noto Giovanni Ermanno. Nato nel 1563, egli operò a Trento godendo del credito acquisito dal padre, per fare ritorno Verona entro il 1603. Ad oggi il suo catalogo conta solo la Madonna in adorazione del Bambino a Castelvecchio, firmata e datata 1597 (Corubolo 2011), ma proprio questa arcaizzante tavola, congiunta ad alcuni aspetti delle opere paterne (in particolare le indicazioni somatiche e gli sguardi pungenti ma vacui), sembrano avvalorare, almeno in via di ipotesi, l’attribuzione al veronese. Non è inoltre privo di significato che a Trento Francesco fosse stato chiamato nel 1589 a dipingere lo smembrato altare a portelle in San Pietro, fulcro della celebrazione del martirio di Simone Unferdorben, fatto che avrebbe potuto in qualche modo agevolare il suo ingaggio anche per quest’opera, il cui rilievo risiede soprattutto nelle implicazioni storiche e devozionali.

Fonti: FBSB, ms. 162, Semplice narrativa, pp. 5-6; Tovazzi, Relatio Prima, pp. 18-19; FBSB Relatio Secunda, p. 56; Morizzo, I, p. 200; III, p. 3; ACPFM, busta 275, Inventario 1963, p. 670, n. 51; SBC Dal Bosco 2001/ OA/ 00072383; FBSB, P 36.

Bibliografia: Stenico 1999, pp. 60, 611.