PENTIMENTO DI SAN PIETRO E CONVERSIONE DI SAN PAOLO

Ambito/Autore : Odoardo Perini (Verona, 1671-1757)

Periodo storico: 18° secolo
Anno: 1700-1750
Soggetto: Pentimento di San Pietro e Conversione di San Paolo
Luogo di conservazione: Trento, Fondazione Biblioteca San Bernardino
Materia e tecnica: olio su tela, cm 79,5 x 117
Provenienza: Villazzano, convento-collegio, 1993

Descrizione:

Questo interessantissimo dipinto, di qualità molto sostenuta, proviene dal collegio di Villazzano. Un catalogo delle opere d’arte ivi conservate, stilato poco prima della chiusura della struttura, indica la curia provinciale come destinazione. Manca invece qualsiasi ragguaglio sulla sua vicenda antica e l’ingresso nelle collezioni dei francescani, ma è evidente che si tratta di un’opera raffinata, estranea alle esigenze devozionali, che reca piuttosto le caratteristiche del collezionismo privato. Potrebbe essere stata parte dell’arredo della villa Cazuffi trasformata in convento-collegio ad inizio Novecento, ma non si dispone di alcuna prova documentaria per asseverarlo. L’opera, rinfrancata da un restauro recente, versa in condizioni quasi ottimali, fatta eccezione per le terga del cavallo al centro della composizione dove è stata reintegrata una vistosa lacuna.

Solo una breve porzione della tela, a sinistra, è dedicata al pentimento di San Pietro, simbolicamente espresso dal gallo appollaiato su un ramoscello. Gran parte del quadro è invece una convulsa e roboante scena della caduta di San Paolo alla quale lo stesso Pietro, gesticolando con animosità, pare volerci introdurre. Qui l’artista, quasi rubando il mestiere al pittore di battaglie, conduce con tocco rapido e sciolto le vivacissime figure dei soldati che fuggono dall’abbagliante apparizione di Cristo in cielo. Tutto esprime la repentinità dell’evento: i vessilli attorcigliati e i tamburi abbandonati in primo piano; la sagoma contratta del cane impaurito e ringhioso; il cavallo che si impenna imbizzarrito sul margine destro della scena lasciandoci però scorgere il paesaggio azzurrato. La luce, intensissima, rischiara e sbianca le vesti degli armigeri e di San Paolo al centro, dove dominano i rosa, i gialli, i verde chiari.

L’estroso e concitato racconto della conversione di Saulo è comprensibile, intuita la matrice veneta dell’opera, solo evocando il nome del veronese Odoardo Perini. Nato nel 1671, egli si formò a Bologna presso Giovanni Maria Viani e una volta rientrato a Verona nutrì interesse per la magniloquente maniera del Balestra, cui si appropinquò con forte personalità, ma anche per l’anticonformismo di Andrea Voltolini (Marinelli 2011, p. 195). “Questo pittore fu d’un cervello bizzarro assai” scrisse Giambettino Cignaroli che lo conobbe di persona; la sua lezione restò effettivamente a margine dell’accademismo scaligero ormai all’apogeo alla morte di Odoardo, nel 1757. In questa prova emerge per intero la vena briosa, corrosiva ed enfatica del maestro veronese, ma anche la peculiare leggerezza, sveltezza e maestria nel dipingere acquisita a Bologna.

Scontati e numerosi i confronti possibili con le opere di Perini, al quale la critica ha rivolto sempre maggiore attenzione nell’ultimo decennio, accrescendone il catalogo anche con notevoli prove da cavalletto (si veda ancora Marinelli 2004, p. 85; Marinelli 2012, pp. 59-60). Proficui i raffronti con le opere sacre, dalla pala di Mazzurega (Marinelli in La pittura a Verona tra Sei e Settecento, pp. 212-216, fig. 173), a San Domenico salva gli operai dal crollo di un edificio, nell’omonima chiesa scaligera, dove i volti in secondo piano sono di fatto quelli della soldataglia del nostro dipinto.

L’attività di frescante è senz’altro quella che conta maggiori perdite, a partire dalla principale impresa nel genere: la ciclopica decorazione di palazzo Muselli a Verona della quale, perse ormai le gigantesche figure di apostoli, rimane la lacunosa e alquanto ridipinta Conversione di San Paolo (si veda Marinelli 2004, p. 85, figg. 59-60). Un artista ingegnoso e disinvolto come Perini non avrebbe potuto ripetere sé stesso e se le due versioni del soggetto rimangano autonome, rimarchevoli sono le costanti: dalle scattanti sagome dei cavalli col muso affilato, alle dinamiche estreme ed esasperate delle figure. Ancora più stringenti sono le analogie con un affresco in migliori condizioni, il Ratto di Proserpina in palazzo Giusti a Verona, firmato da Perini nel 1721 (fig.) nel quale ritroviamo gli accordi cromatici assai vivaci e finanche le stesse bardature equine. La disinvolta raffigurazione di cavalli dovette quasi rappresentare una specialità del pittore se tra i dipinti dispersi della collezione Marchesini a Verona si annovera, del nostro, una composizione di Cavalli con palafrenieri in picciolo (Marinelli 2011). Il freschissimo dipinto dei francescani, verosimilmente uscita da una collezione scaligera, è nondimeno un significativo contributo alla produzione da cavalletto del veronese, in gran parte dispersa.

Fonti: ACPFM, Cronaca di Villazzano, 1959-1977, II, p. 38, n. 17; FBSB, P 40.

Bibliografia: inedito.