IMMACOLATA CONCEZIONE con I SIMBOLI DELLE LITANIE

Ambito/Autore : Martino Teofilo (Fiandre, ?-Bressanone, 1639)

Periodo storico: 17° secolo
Anno: ante 1610
Soggetto: Immacolata concezione
Luogo di conservazione: Trento, Fondazione Biblioteca San Bernardino
Materia e tecnica: olio su tela, cm 205 x 114
Provenienza: Trento, chiesa di San Francesco d’Assisi (?)

Descrizione:

Questo grande dipinto è l’unica pala di San Bernardino a non contare alcuna menzione delle fonti settecentesche. Un simile silenzio contrasta con le pur rapide ma attente indicazioni forniteci nel XVIII secolo da Tovazzi e Bartoli, quindi dalla cronaca del convento che elenca sia gli altari con le rispettive pale, sia i più rilevanti dipinti della chiesa e del convento, tra i quali l’Immacolata di Martino Teofilo è indubbiamente degna di figurare. Si aggiunga, a tutto ciò, l’importanza intrinseca del soggetto in rapporto all’ordine dei Minori, nonché la speciale attenzione riservata dalle fonti agli altri dipinti di Martino Teofilo, tutti attentamente descritti (si rimanda alle relative schede).

Il punto essenziale da cui è necessario ripartire nell’indagine è rappresentato dall’assenza di un altare dedicato all’Immacolata concezione non tanto nel primigenio San Bernardino, sul quale disponiamo di pochi e parziali dati (si veda in proposito il saggio di chi scrive), ma proprio nella nuova chiesa di San Bernardino consacrata nel 1694. L’elenco degli altari stilato nel 1773 e tramandatoci da Morizzo (II, p. 332) include, nella cappella a cornu evangelii, l’altare della Madonna dell’aiuto. Non si trattava pertanto di un altare con l’effigie della Vergine immacolata e questa precisazione è del tutto autorevole al fine di escludere l’appartenenza del dipinto all’altare mariano del tempio barocco. Una postilla alla cronaca del 1773, lasciata da Morizzo, precisa: “L’anno…quest’altare fu dedicato all’Immacolata concezione di Maria con palla apposita, copia precisa di quella ch’esiste nella chiesa nostra di Mezzolombardo”. La mancata puntualizzazione cronologica è un’occasione persa per fare chiarezza su questo punto ma è facile comprendere che il cambiamento si affacciò dopo il 1773, nel XIX secolo e per certo entro il 1873, quando, ancora a detta di Morizzo, “si collocò in una nicchia dietro quella palla la statua in legno della Vergine immacolata, donata ai Frati, per intercessione del P. Giacomo Zanini di Trento, dal decano del Duomo”. Le successive notizie di carattere storico sono contestuali alla nuova disposizione dei quadri all’interno del tempio (1906), allorquando si afferma per la prima volta in modo esplicito che la tela è sull’altare intitolato all’Immacolata, fungendo da pala di coperta dell’omonima statua. Infine nel 1920, con l’allestimento della grotta all’interno della cappella, la pala di Polacco venne rimossa dall’altare e definitivamente sostituita dalla statua della Madonna di Lourdes (Stenico).

Se dunque nessuna fonte riporta la presenza dell’opera – pare fra l’altro indicativa l’inconsapevolezza collettiva dei frati di San Bernardino che ritenevano questo dipinto copia della più tarda e inferiore tela sita a Mezzolombardo – e nessun altare la recava nel Settecento, quale può mai essere stata la sua originaria ubicazione e funzione?Nella singolare indeterminatezza del quadro storico è quantomeno lecito proporre un’ipotesi, ovvero che il dipinto vanti una diversa provenienza e che sia approdato in San Bernardino solo nel primo Ottocento, per quanto tutto ciò sembri urtare con la fiera tradizione cultuale dell’Immacolata concezione presso i riformati e con la nutrita presenza di opere del Teofilo in San Bernardino. Ad inizio Seicento furono molti gli ordini religiosi che si servirono delle apprezzate attitudini artistiche di Martino e fra questi è necessario rammentare i francescani conventuali. Proprio al nostro pittore ricorsero costoro per l’esecuzione di un dipinto del tutto identico a questo, almeno a leggere la testimonianza di Francesco Bartoli, giacché la pala risulta dispersa dopo la secolarizzazione del convento di San Francesco. Ecco quanto annotava lo scrittore bolognese visitando la chiesa dei conventuali: “Nel secondo altare alla destra, la tavola dell’Immacolata Concezione coi simboli della Cantica intorno e varie storiette nell’ornamento e sotto la predella il terrestre Paradiso è opera di Martino Teofilo” (Bartoli 1780, p. 81). Benché non sussistano sufficienti elementi per individuare nel dipinto di San Bernardino quello disperso– è necessario specificare che il termine tavola è più volte indicato da Bartoli per indicare una pala con supporto in tela –, anche perché non sono pervenute le “storiette” non meglio descritte (probabilmente piccoli riquadri con episodi della vita della Madonna) e la predella raffigurante il Paradiso terrestre, è tuttavia innegabile che la soluzione collimi con la strana assenza di fonti antiche. Alla stessa conclusione dovette giungere Nicolò Rasmo che, nella breve introduzione all’Esposizione di pittura francescana del 1962, scriveva in maniera alquanto ellittica: “del primo [Martino Teofilo] possiamo offrire fra il resto una magnifica Immacolata, ricordata dalle fonti più antiche e che si riteneva perduta”, alludendo, pare di comprendere, all’Immacolata già in San Francesco. Per certo la descrizione di Bartoli, alla quale lo studioso si doveva riferire, coincide con l’iconografia diffusa in tutto l’ambiente francescano e destinata a perdurare nel Sei e Settecento, come provano le analoghe pale di Mezzolombardo e Cles. In proposito Silvia Volcan osserva che il ricorso insistito ai simboli delle litanie (si rimanda alla scheda della studiosa per la precisa individuazione delle immagini), va attribuito “ad una precisa richiesta della committenza francescana che in un’ottica scotista intendeva porre l’accento sulla condizione di predestinazione della Vergine come elemento fondamentale per il riconoscimento della sua immacolatezza”.

Per quanto attiene invece alla datazione dell’opera, è necessario anticipare la collocazione proposta tra la fine del primo e l’inizio del secondo decennio, per via dell’insistente sottigliezza pittorica di matrice settentrionale, tipica dell’attività più acerba dell’artista. Il dato troverebbe conferma nelle informazioni che ci trasmette il Tovazzi circa la confraternita dell’Immacolata concezione in San Francesco. Appuntando a margine delle sue note la bolla di conferma della confraternita nel 1582, egli trascrive l’epigrafe del sepolcro dei confratelli recante il millesimo 1610, concludendo dunque l’istituzione dell’aggregazione “anno 1610 vel alio anteriori” (FBSB, Relatio prima, p. 83). Se accettiamo la provenienza dalla chiesa conventuale, non vi è dunque alcun dubbio che il dipinto fosse stato commissionato prima di quella data.

Fonti: FBSB, Morizzo, I, p. 342; ACPFM, busta 275, Inventario 1963, p. 667, n. 8; SBC Dal Bosco 2001/ OA/ 00072230.

Bibliografia: Esposizione di pittura sacra, n. 34; Szymanski 1965, pp. 254, 273; Dal Prà 1993, p. 220; Stenico 1999, pp. 109, 111, 124, 147, 598; Arte e persuasione, pp. 228-229, cat. 5.6 (S. Volcan); Dal Prà 2014, p. 94.