GESÙ BAMBINO APPARE A SANT’ANTONIO DA PADOVA, SAN PASQUALE BAYLON IN ADORAZIONE DELL’OSTENSORIO, SAN PIETRO D’ALCANTARA LEVITA IN ADORAZIONE DELLA CROCE, SANTA MARGHERITA DA CORTONA IN ADORAZIONE DEL CROCIFISSO

Ambito/Autore : Ambito napoletano


Periodo storico: 18° secolo
Anno: 1700-1725
Soggetto: Gesù Bambino appare a Sant’Antonio da Padova, San Pasquale Baylon in adorazione dell’ostensorio, San Pietro d’Alcantara levita in adorazione della croce, Santa Margherita da Cortona in adorazione del Crocifisso
Luogo di conservazione: Cles, chiesa di Sant’Antonio da Padova, sacrestia
Materia e tecnica: seta policroma parzialmente acquerellata su cartoncino cerato, cm 24, 5 x 19 (ciascuno)

Descrizione:

Questi deliziosi quadretti vennero presentati nel 1962 da Nicolò Rasmo all’esposizione della pittura sacra nei conventi francescani. Precedentemente sono menzionati solo nell’inventario del 1927 che identifica il quarto come San Pietro regalato anziché San Pietro d’Alcantara.

Spetta a Luciana Giacomelli l’individuazione della tecnica esecutiva che simula il ricamo e prevede la stesura di fili di seta fissati lungo i bordi del supporto (cartoncino), con effetti accentuati dall’acquerellatura, in particolare nei dettagli somatici delle figure. Si tratta di un’espressione artistica a metà tra pittura e ricamo, tipica dell’Italia meridionale, come argomenta la studiosa, la quale pone altresì in evidenza la concordanza con il contenuto dell’iscrizione vergata a penna sul retro di Santa Margherita da Cortona.

Oggi è possibile approfondire lo studio di questi lavori in rapporto alla figura di “Antonius de Fundo Neapoli redux 1762”, ovvero di padre Antonio Inama da Fondo (1718-1782). Già lettore di teologia a Rovereto, Cles e Trento, guardiano in San Bernardino, nel 1757 fu visitatore della provincia riformata di Carniola, assieme a padre Carlantonio Malanotti da Samoclevo. Due anni dopo partì per Napoli con padre Francesco Kaiseliz, dove fu il confessore delle monache di Santa Chiara fino al 1762 (Morizzo, III, p. 142; Rosat 1926, p. 233). Il dono al convento di Cles avvenne dopo un’ulteriore parentesi romana (nel 1763 padre Inama si recò a Roma in veste di segretario del commissario generale cismontano). Rientrato nel 1766 in Trentino, fu nominato nel 1768 ministro provinciale.

È molto probabile che egli avesse ricevuto in dono i “ricami” dalle clarisse di Santa Chiara a Napoli e non è meno significativo evidenziare il rapporto tra Inama e Malanotti nelle esperienze comuni fuori Trento, a Roma e a Napoli. Infatti pochi anni dopo, nel 1776, padre Carlantonio Malanotti, confessore delle stesse clarisse napoletane, avrebbe ricevuto in dono da costoro l’orologio a pendolo conservato nel convento di Cles fino al 1915 (quindi tradotto nel convento di Trieste e da lì disperso).

Pur condotte con semplicità, le raffigurazioni sono raffinate e furono indubbiamente realizzate sulla base di modelli pittorici o incisori di area napoletana. L’elegante scioltezza delle figure, permeata da un deciso accento classicista, tradisce la conoscenza di Paolo de Matteis (1662-1728), grande maestro che a cavallo dei due secoli fu a Napoli portatore di una lezione figurativa improntata a classica pacatezza. Le fisionomie minute sui volti pienotti, il composto e luminoso drappeggio, condotto per pieghe corpose placidamente chiaroscurate, rimarcano non trascurabili convergenze con diverse sue opere di genere sacro, in particolare con lavori della tarda maturità, come il Beato Andrea Conti da Anagni (Spinosa 1993, II, p. 138, cat. 142, fig. 157). Non è quindi affatto da escludere che lo stesso artista o un pittore a lui vicino avesse approntato dei disegni da tradurre successivamente nei manufatti serici; o che venissero applicati in questi ricami modelli calcografici legati a quella temperie culturale. Sta di fatto che le coordinate stilistiche sono quelle di primo Settecento, pertanto le piccole opere condotte dal religioso in Trentino non rappresentarono un acquisto del momento, trattandosi bensì di lavori già presenti a Napoli, forse proprio presso il monastero delle clarisse.

Per quanto riguarda la tecnica esecutiva, affine al ricamo, non va escluso che essa fosse praticata all’interno della stessa comunità francescana, alla luce della tradizionale familiarità delle monache con attività artigianali e artistiche in ambito tessile.

Fonti: ACPFM, busta 307, Inventario 1927, n. 16-19; busta 244, Inventario 1959, p. 657, n. 42; SBC Chini 1981/ OA/ 00034645-34648; ACSA, Inventario 2013, p. 9.

Bibliografia: Esposizione di pittura sacra, n. 49-50, 52-53; Il ‘Santo dei voli’, pp. 178-179, cat. 17 (L. Giacomelli); Stenico 2004c, p. 299; Callovi 2005, p. 107.