PADRETERNO BENEDICENTE

Ambito/Autore : Paolo Carneri (1560 ca.-1629)

Periodo storico: 17° secolo
Anno: 1617
Soggetto: Padreterno benedicente
Luogo di conservazione: Trento, Fondazione Biblioteca San Bernardino
Materia e tecnica: pietra calcarea, cm 66 x 54 x 24
Provenienza: Trento, duomo, monumento Mattioli, 1829

Descrizione:

La singolare vicenda di questa scultura è stata ricostruita da padre Remo Stenico nel 1999. Il busto decorava, dal 1829 almeno, l’edicola del Padreterno sita alla sommità della rupe di San Bernardino. Nel 1881 il guardiano Stefano Robol decise di erigere al posto della piccola edicola una cappellina (“glorietto”) alla cui sommità fu collocata la scultura. Solo nel 2014, in concomitanza all’intervento di valorizzazione e studio del patrimonio artistico dell’ordine, il busto è stato rimosso e ricoverato nella biblioteca antica, così da preservarne le condizioni conservative già compromesse da screpolature e da un sensibile annerimento della superficie. Mentre l’aureola in ferro parrebbe originale, non è pertinente la crocetta metallica con cui è stato completato il globo nella mano sinistra del Padreterno.

Le annotazioni di cronaca svelano la provenienza della scultura, molto più antica dell’edicola; ecco cosa scrive Morizzo: “Il detto capitello aveva quale immagine il busto in pietra rappresentante il Padre Eterno: il quale busto era stato levato dal monumento del celebre medico Andrea Mattioli, esistente a mano destra di chi entra pella porta maggiore del Duomo di Trento, ed è anzi a detta porta attiguo. Quel busto serviva da cimiero a quel monumento: ma siccome per collocare l’organo con l’orquestra [sic] sopra la porta suddetta, quel cimiero serviva da impedimento, fu allora tolto via il busto, e dato al nostro convento, che per salvarlo, l’avea domandato. Più tardi si distrusse in Duomo quell’orchestra, e l’organo se lo trasportò su in altro, ma nessuno pensò più al busto del Padre Eterno per rimetterlo a suo luogo”.

Il monumento Mattioli, ancora oggi monco del suo austero cimiero figurato, è uno degli apparati marmorei funebri più rilevanti dell’età tardo manierista a Trento. Eretto nel 1617 per volontà dei figli dell’insigne botanico, Ferdinando e Massimiliano, spetta a Paolo Carneri, erede della più importante e articolata bottega dedita alla scultura nel tardo Cinquecento, della quale abbiamo già incontrato due statue ad Arco (del padre Giandomenico) e il monumento Welsperg a Borgo Valsugana, qui riferito al fratello Simone. L’attribuzione a Paolo Carneri spetta a Michelangelo Lupo (Il duomo di Trento, pp. 118-119, cat. 19) ed è stata ampiamente argomentata da Bacchi e Giacomelli (2003, pp. 99, 102-103). Il trattamento delle chiome e della barba a serpentelli di Dio padre esibisce chiare affinità con il ritratto di Andrea Mattioli al centro del monumento in duomo. L’iconica fissità dello sguardo e la rigida frontalità gestuale suonano per un verso come tratti peculiari dell’officina Carneri, per un altro quali caratteri insiti nella cultura figurativa “senza tempo” a cavaliere dei secoli XVI e XVII. In ogni caso Paolo evidenzia una qualità più sostenuta rispetto al fratello Simone e, seppur non in modo costante, maggior disinvoltura a confronto di molti lavori paterni: circostanza che spiega l’interpretazione di Bacchi e Giacomelli protesa alle prime esperienze del talentuoso figlio Mattia che onorò con ben altri meriti il nome della dinastia Carneri.

Fonti: Morizzo, III, p. 309.

Bibliografia: Ferrai 1994, p. 11; Stenico 1999, p. 399; Cattoi, Sava 2004, p. 12.