MARTIRIO DEI SANTI QUIRICO E GIULITTA

Ambito/Autore : Giovanni Gianetti/ Zanetti (Tenno?, notizie 1600-1630)

Periodo storico: 17° secolo
Anno: 1619-1620
Soggetto: Martirio dei Santi Quirico e Giulitta
Luogo di conservazione: Campo Lomaso, chiesa dei Santi Quirico e Giulitta, altare maggiore
Materia e tecnica: olio su tela, cm 231 x 161

Descrizione:

Il dipinto è stato restaurato da Carla Caimi nel 1992-1993.

L’antica chiesetta dei Santi Quirico e Giulitta venne abbattuta poco prima del 1582, quando fu principiata l’edificazione del nuovo tempio, ultimato nel 1616. La prima opera finanziata e significativamente congiunta all’intitolazione della chiesa, fu il notevole altare maggiore in legno dorato, eretto entro il 1616, quando gli atti visitali ne rendono manifesta l’esistenza ma ne impongono la doratura all’atto della consacrazione. Dalle rese di conto dei sindaci della chiesa Battista e Olivero Casina (Cassina), in carica in quel biennio, si evince che costoro “consegnarono” ai nuovi sindaci 202 troni di debito “fatto per occasione della nova palla dell’altar grande” (Stenico 2005, p. 95). Poiché l’altare era stato eretto prima del 1616 e la doratura venne effettuata da Antonio Francini di Gardone Riviera solo nel 1647 (Stenico 2005, p. 98), è molto probabile che la spesa incontrata corrispondesse alla fattura della pala vera e propria (benché il termine indichi talvolta nei documenti anche l’altare). La cronologia tra il 1619 e il 1620 (Onorati) è del resto perfettamente coerente con gli aspetti di natura figurativa e stilistica dell’affollato dipinto, connotato da una ricca quadratura architettonica di gusto antiquario. La Passio inscenata, nella quale irrompe, in alto, la figura della Vergine con il Bambino, segue fedelmente il racconto degli Analecta bollandiana, secondo i quali Giulitta, una vedova cristiana di elevato rango sociale vissuta nel IV secolo a Iconio nella Licaonia, fu vittima delle persecuzioni di Diocleziano. Giulitta è raffigurata a sinistra, mentre viene duramente fustigata per essersi rifiutata di adorare gli dei. Quirico, il figlio di tre anni della donna, trattenuto dal governatore Alessandro sulla destra, avrebbe in quel mentre prodigiosamente parlato, testimoniando anch’egli di essere cristiano ed è questo il preciso istante del racconto immortalato dalla pala. Dopo aver ucciso il bimbo scagliandolo sui gradini del tribunale, il governatore ordinò la decapitazione di Giulitta.

La pala presenta evidenti elementi compositivi di matrice veneta, anzitutto nella ricca e a tratti fantasiosa ambientazione di gusto classico, eredità della temperie manierista, così come nella tipologia della Madonna assisa tra le nubi, tipica della pittura veneta di fine Cinquecento, non senza qualche eco debolissima di Fra’ Semplice. La singolare connotazione di stile ha giustamente indotto Ezio Chini ad attribuire il dipinto a Giovanni Gianetti (o Zanetti), pittore di Tenno operoso nei primi tre decenni del Seicento nelle Giudicarie e nell’Alto Garda (si veda Chini 1991, pp. 89-90). Non ci è noto l’iter formativo di questo pittore, ma Lo Zanetti sembra in particolar modo ricettivo della pittura veronese tra la fine del Cinquecento e l’inizio del nuovo secolo; oltre a motivi rubati a Felice Brusasorci, si intuisce anche un certo interesse per l’estro e il caldo chiaroscuro di un Pasquale Ottino – certo interpretato in chiave minore – sempre sulla base perdurante dell’ultimo Manierismo, evidente nel gusto per il gesto esibito e per la ridondante ambientazione architettonica fruibile anche attraverso la circolazione delle stampe. È intanto possibile indicare la conoscenza, diretta o indiretta, della macchinosa pala di Sigismondo de’ Stefani in San Giorgio in Braida a Verona, del 1564, raffigurante il Martirio di San Lorenzo (Proposte e restauri…, pp. 161-163).Molto interessante è la figura barbuta in basso, al centro, rispetto alla quale non appare chiaro se si tratta di una continuazione in profondità della scena – al pari della donna che sembra rivolgersi ai riguardanti – o di un possibile benefattore, posto “in abisso”, secondo la più vieta tradizione della pittura rinascimentale in Veneto.

Fonti: ACPFM, busta 244, Inventario 1962, p. 647; SBC Menapace 1988/ OA/ 00056221.

Bibliografia: Onorati 1964, p. 12; Chini 1991, p. 90; Mich 1993-1994, pp. 224-225; Stenico 2005, pp. 95, 323.