MADONNA ASSUNTA, SAN DOMENICO, SAN FRANCESCO D’ASSISI, SAN GIROLAMO E SAN TOMMASO APOSTOLO

Ambito/Autore : Daniele Sandelli junior (Innsbruck/ Trento/ Verona, notizie 1592-1599)

Periodo storico: 16° secolo
Anno: 1594 (?)
Soggetto: Madonna assunta, San Domenico, San Francesco d’Assisi, San Girolamo e San Tommaso apostolo
Luogo di conservazione: Ville di Giovo, chiesa di San Nicolò, presbiterio
Materia e tecnica: olio su tela, cm 238 x 145

Descrizione:

Il dipinto è oggetto di un recupero contestuale a questa ricerca ed ha il pregio di figurare tra i pochi dipinti di datazione cinquecentesca giuntici dalla primigenia chiesa francescana di San Bernardino alle Ghiaie.

La più importante guida cittadina, quella redatta nel 1780 dal bolognese Francesco Bartoli, descrive, ormai all’interno della nuova chiesa francescana, precisamente su una delle pareti della navata, la pala “con M.[aria] V.[ergine] in aria, e sotto i SS. Francesco, Girolamo, Domenico e Pietro” leggendo in calce alla stessa: “Daniel Sand[…] 15[…]” e postillando che “il resto del cognome è perduto per essere scrostata l’imprimitura”. La trascrizione lacunosa della data è giustamente resa da Weber sulla base del ms. 1207 della Comunale di Trento (Weber 1931, p. 596, nota 6), mentre l’edizione di Emert riporta erroneamente l’anno “1500”, dato incompatibile con il percorso di Daniele Sandelli junior, pittore attivo nell’ultimo quarto del XVI secolo e ancora assai poco studiato, stante la dispersione di gran parte delle sue prove artistiche. La preziosa indicazione di Bartoli va confrontata con l’elenco dei dipinti della chiesa dell’anno 1775 (Morizzo), che non fa menzione di firme, ma fornisce una interessante e sintomatica variante del soggetto esplicitata in questi termini: “il quintodecimo [dipinto] dell’Assunzione di Maria coi santi Domenico, Francesco, Girolamo e un apostolo”. L’annotazione di Tovazzi (1776), sulla quale probabilmente Morizzo si basa, riporta in maniera analoga: “Quintadecima quam Daniel Sand…pinxit an. 1500 Assumptionem Beatissimae Virginis Mariae, S. Dominicum, S. P. Franciscum, S. Hieronimum, et S. Anonymun Apostolum.”

Il quadro non è contemplato da altre fonti fino a che, rimosso dall’aula francescana probabilmente in coincidenza con le operazioni di riordino interno alla fine dell’Ottocento, risulta tra le opere disperse (Stenico 1999, pp. 109-110). L’opera viene ora individuata all’interno della chiesa di San Nicolò a Ville di Giovo, precisamente nel dipinto fissato, entro una cornice in stucco, sopra la porta che conduce alla sacrestia. La tela è stata integrata lungo il bordo inferiore per adeguarla, nelle proporzioni, al dipinto dirimpetto, il che ha causato la perdita (o la copertura) dell’iscrizione. Vi scorgiamo la Madonna assunta entro una gloria di Angioletti e Cherubini, mentre nella porzione sottostante, nettamente ripartita, sfilano, nell’esatto ordine stilato dalla cronaca del 1775, San Domenico, San Francesco d’Assisi, San Girolamo e un Santo apostolo identificabile, per via della squadra (attributo non proprio di immediata percezione) in San Tommaso. L’inconsueto convegno di santi così eterogenei, unificati dalla severa meditazione di fronte al mistero dell’Assunzione di Maria, non lascia dubbi sull’identificazione dell’opera con quella vista da Bartoli e meglio annotata nella cronaca del convento con l’indeterminata registrazione del santo apostolo anziché della figura di San Pietro che pure la connotazione somatica può agevolmente ricordare.

A favore dell’identificazione militano più circostanze. Anzitutto il dato stilistico poiché è sufficiente richiamare alla memoria la figura di San Giacomo nella paletta della Madonna con Gesù Bambino in trono tra Sant’Antonio abate e San Giacomo (fig.), firmata da Sandelli nel 1595 a Santa Croce del Bleggio per convincersi che la pala in questione spetti a Daniele. Nonostante il parziale “restauro” ottocentesco di Leonardo Campochiesa, l’impostazione e il cartaceo panneggio di San Giacomo a Bleggio si prestano ad un esplicito e inequivocabile confronto con la declinazione stilistica del dipinto di Ville.

Le vicende attraverso le quali è stata ripercorsa da Remo Stenico (1989) l’edificazione della nuova chiesa di San Nicolò a Ville di Giovo e la sua dotazione di opere pittoriche, evidenziano un dato cruciale circa le circostanze che condussero l’opera da Trento alla frazione di Giovo. Zelante promotore e fabbriciere della nuova chiesa nel 1884 fu Giovanni Pasolli di Ville. A fabbrica conclusa, nel 1888 egli si rese munifico per la cospicua donazione di dieci dipinti, sei dei quali furono venduti negli anni sessanta del Novecento, dopo che Nicolò Rasmo li ebbe fortunatamente periziati. Un indizio fondamentale sta nel fatto che nel gruppo di tele alienate, oltre a opere di Cristiano Toldino e Giovanni Domenico Vinotti, figurava il Martirio di San Genesio commediante, prontamente riconosciuto da Rasmo come la prova dipinta nel 1673 da Francesco Marchetti per la chiesa della confraternita della morte a Trento, dove nel Settecento fu vista e menzionata da Francesco Bartoli. Pasolli, persona che si sapeva evidentemente muovere in questo genere di affari, riuscì a beneficiare del movimentato ‘riordino’ tardo ottocentesco di molte chiese cittadine. Infatti poco dopo ebbe agio di donare alla chiesa altre quattro tele eterogenee ma anteriori al XIX secolo, tutte uniformate all’interno di solenni cornici in stucco eseguite da Pasquale Bianchi (si veda Stenico 1989, pp. 398-399). Tra queste figurava naturalmente la pala di Sandelli in San Bernardino. Va osservato che l’acquisizione di quest’ultima venne probabilmente resa più agevole dalla familiarità del donatore con l’ambiente francescano, tenendo conto dei vincoli familiari con due frati più volte Guardiani: Bonifacio Giuseppe, e Ambrogio Pasolli di Ville di Giovo (Stenico 2010, p. 338, n. 1025; p. 346, n. 1069).

Chiariti questi aspetti, ci dobbiamo interrogare su quale fosse la specifica collocazione del dipinto nel vecchio San Bernardino alle ghiaie. È in tal senso utile notare la presenza di un altare dedicato alla Madonna nella nota degli interventi apportati nel 1688, dopo la disastrosa esondazione di due anni prima. In quel frangente il perginese Giovanni Paolo Cera donò un altare di pietra (successivamente disperso) con ogni probabilità in sostituzione di un’ancona lignea più antica. L’altare intitolato alla Vergine doveva essere proprio quello con la pala tardo cinquecentesca dell’Assunta, essendo noti nel XVI secolo il polittico e gli altari dedicati a San Sebastiano e a Sant’Antonio. Per di più solo nel 1605 Martino Teofilo dipingerà la Madonna in gloria con San Francesco e San Bernardino, dunque la pala del Sandelli doveva essere il fulcro visivo della devozione mariana, nella canonica declinazione immacolista.

Il dipinto francescano scaturisce dal profilo di un pittore sino ad oggi piuttosto ignorato o solo marginalmente lambito, che occorre pertanto approfondire.

Le notizie sul conto di questo artista, fornite in particolare da Simone Weber (1922, pp. 28, 31-32; 1931, pp. 596-597) dipanano un percorso dinamico, toccato da esperienze e aperture culturali in netto contrasto con l’involuto raggio d’azione del padre Marco che negli anni ottanta del secolo si era allontanato dall’area benacense e ormai pressoché stabilito a Trento. La più antica menzione di Daniele risale al 1592 e chiude un episodio di cui ignoriamo il principio e il reale svolgimento. Il 17 luglio egli ottiene licenza da parte dell’Imperatore Ferdinando per fare ritorno a Trento. Nella città austriaca egli risiedeva almeno dal giugno precedente ma non è dato sapere per quale specifica commissione vi si fosse recato. Pochi mesi dopo, nel novembre 1593, abbiamo notizia dell’ingaggio da parte del conte Federico Serego di Verona ed è qui che interviene la mediazione di Marco Sandelli. Probabilmente a questa data l’artista non era affrancato dal padre che svolgeva ancora, a tutti gli effetti, il ruolo di capo-bottega. Era Marco a richiedere infatti di favorire il figlio in qualche commissione che effettivamente sopraggiunse, a giudicare dalla seconda lettera inviata dal primo al nobile veronese. Nella missiva del 16 maggio 1594 l’anziano pittore scrisse da Trento chiedendo al Serego una licenza di due o tre mesi perché il figlio potesse dipingere “due pale d’altare al signor Aliprando Madruzzo”. Pur non venendo specificata la destinazione dei due dipinti, si precisa che il committente le “voleva di mano di Daniele per la madona di Agosto”.

Benedetto Bonelli loda Aliprando quale uomo di lettere e facondo committente d’arte: “Sacris aedibus constructis ac splendide adornatis madrutianae munificentiae monumenta reliquit”. Come già ricordava Simone Weber, non resta tuttavia che il pallido ricordo della sua munificenza. Madruzzo ricopriva in quegli anni la carica di canonico e decano del Capitolo della Cattedrale di San Vigilio, dimorava nel capoluogo ed è pertanto comprensibile che la destinazione delle opere richieste nel 1594 fosse una chiesa cittadina. Mi pare pertinente e non certo fortuita la coincidenza tra il soggetto della pala dei francescani, un’Assunta, datata 159[…] e la scadenza fissata dal committente “per la madona di Agosto”, ovvero per la festa dell’Assunzione del 1594. Si aggiunga che nel corso di questo lavoro è stata rintracciata un’altra inedita pala di Daniele Sandelli, oggi nel monastero di Borgo Valsugana ma proveniente da Trento, datata giusto 1594, che costituisce palesemente il secondo dipinto commissionato al pittore in quell’anno (cat.).

Che la Madonna assunta e santi figurasse tra le commesse di Aliprando Madruzzo è dunque cosa quasi certa; in questo senso la presenza di San Tommaso si presta a evocare la carica di priore di San Tomaso a Riva del Garda ricoperta da Aliprando per lungo tempo. Calzante è del resto la continuità di stile con la pala di Bleggio, di un solo anno più tarda, ma degna della massima attenzione è la misura espressa da Sandelli nella tela francescana, assestata su esperienze figurative che hanno innovato la lunga tradizione della bottega di famiglia. In particolare, l’accostamento ai fatti artistici veronesi, timidamente posti in luce da Botteri, necessita di approfondimento alla luce della pala di Ville, opera tutt’altro che indegna. La figura della Vergine parte da correnti modelli di intonazione lombarda, intendendo in qualche modo confrontarsi con le prove tridentine di Giambattista Moroni, mentre le nervose figure di santi interpretano, con una certa autonomia, le prove tarde lasciate a Verona da Antonio Badile: pittore che, nel riecheggiare simpatie ormai remote per Paolo Veronese, tendeva ad una consapevole asciuttezza della forma così come a conclamate formule di ascendenza bresciana. Sandelli sembra guardare al Badile dei Santi Gregorio, Bonaventura e Gerolamoa Castelvecchio – opera in dialogo con il disegno del Caliari a Bayonne come ha posto in luce Marinelli (1988, pp. 40-41) – così come all’affollatissima pala della Trinità e Santi agli Staatliches Museen di Schwerin, ancora attribuita al pittore veronese. È quest’ultima un’opera di notevole prossimità rispetto all’Assunta, sia nell’impaginazione del brano con l’orizzonte alto e digradante, sia nell’articolazione gestuale e nei guizzanti panneggi dei santi convenuti, tanto da poter postulare che l’artista trentino ne avesse preso conoscenza diretta nel corso del suo soggiorno veronese presso Federico Serego. La solida immagine della Vergine assunta sembra in qualche modo rammentare, nelle lumeggiature lattiginose delle vesti, la Madonna in gloria di Antonio Badile, opera certo di più elevato livello orientata da sentiti stimoli bresciani. La figura di San Giacomo a Santa Croce del Bleggio individua analoghi incroci su Verona, se si nota che nello stagliarsi di profilo, una gamba sollevata ben ferma su un sostegno, rielabora schemi veronesiani condivisi dallo stesso Badile nel citato dipinto a Castelvecchio (Marinelli 1988, p. 41). Ma con Badile il pittore trentino condivide, più in generale, un nitido senso della forma congeniale al ripiegamento rigorista dell’ultimo Cinquecento e il voluto recupero di istanze primo-cinquecentesche. È davvero stimolante il confronto tra il pulitissimo, quasi lottesco ritratto di Salvo Avanzi, firmato dal pittore veronese e le immagini di San Domenico e San Francesco a Ville di Giovo: è come se Sandelli, prestando fede alla tradizione della bottega in cui era nato, trovasse in quell’orizzonte la propria ideale collocazione. Lasciate in disparte le suggestioni dell’opulenta pittura veronesiana, egli trova la via per mitigare un rinnovamento espressivo che non poteva evidentemente contraddire le aspettative della committenza trentina. Committenza che aveva prediletto Giovanni Ermanno Ligozzi e che in questi stessi anni apriva le porte a pittori fortemente arcaizzanti come i Naurizio ai quali gli ultimi esponenti della bottega Sandelli non mancano di guardare.Andrà infine riservato il plauso alla sensibilità profusa nel bellissimo paesaggio lacustre, diremmo gardesano, diafano nello scemare morbido della luce. Lo specchio d’acqua, rotto da pittoresche insenature, viene inquadrato in primo piano da fronzuti e tortuosi alberi che non mirano affatto alle ormai vincenti declinazioni di Battista del Moro e neppure a quelle, assai diffuse, dei fiamminghi, quanto, piuttosto, ai capisaldi “lombardi” adottati ad Arco già da oltre mezzo secolo sotto l’insegna della bottega Sandelli.

La sostanza stilistica dei volti dei santi convenuti nella pala già in San Bernardino ci consentono di ampliare il catalogo di Daniele junior nell’ambito del ritratto e di circostanziare meglio i rapporti con la famiglia Madruzzo. Di fatto, i tratti stilistici espressi nel volto di San Girolamo si ritrovano nel ritratto di Fortunato Madruzzo (†1604), fratello di Aliprando. Datato 1598, si conserva presso il Castello del Buonconsiglio, in pendant con quello della consorte Margherita di Altemps (si vedano le schede di Michelangelo Lupo in I Madruzzo e l’Europa, pp. 87-89, catt. 22-23. Dello stesso studioso: Un museo nel castello del Buonconsiglio, pp. 45-46, catt. 4-5). Mi pare che rispetto alla pala a Ville di Giovo ritornino fedelmente gli impasti pittorici e soprattutto la soluzione di stile con cui l’artista esegue le barbe grigie, ravvivate in superficie da uguali tocchi biancastri. Confortati da questo nesso, è agevole se non addirittura ovvio estendere queste osservazioni al ritratto del decano Aliprando Madruzzo, ancora del 1598 e reso noto da Michelangelo Lupo (I Madruzzo e l’Europa, pp. 86-88, cat. 19). Sulla superficie compatta di questa tavola risaltano meglio le lumeggiature che ravvivano i tratti del committente di Daniele Sandelli, riportando ancora un positivo riscontro rispetto ai brani certi del pittore e confermando il ductus nella barba a filamenti, benché la claustrale e asciutta mise dei nobili effigiati restringano le già implicite limitate possibilità di confronto con gli effetti di luce prediletti da Sandelli nella pittura sacra.

In attesa di approfondire la personalità di Sandelli anche in rapporto all’attività Oltralpe, è utile concludere accennando almeno alla pala del Rosario nella canonica di Ronzo Chienis (dalla Parrocchiale), un’opera che è possibile aggiungere al catalogo di Daniele sulla scorta del dipinto già in San Bernardino di cui è all’incirca coeva. Se il trono e le figure di santi papi si collegano anche alla tela di Denno, sono qui ravvisabili rapporti con le opere lasciate in Trentino da pittori di area veneta come Giovanni Ermanno Ligozzi. Tuttavia permane un più concreto senso della forma che è di schietta estrazione lombarda, come nella solida e paffuta Madonna che si collega molto opportunamente alla seconda pala di Daniele Sandelli di proprietà francescana, qui di seguito presentata.

Fonti: Tovazzi, Relatio Secunda, p. 56; Morizzo, III, p. 63.

Bibliografia: Bartoli 1780, p. 58; Weber 1922, pp. 27-28, 32; Weber 1931, p. 596, nota 6; Weber 1977, p. 321; Stenico 1989, pp. 403; Stenico 1999, pp. 109-110.